ABC Cercasi...

di Gwénola Carrère, 2008
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Un ABC è fatto per imparare a scrivere e a leggere. Dopo aver imparato a camminare e a parlare, ciascun bambino compie la sua terza rivoluzione imparando l’alfabeto. Ciò significa accedere a un nuovo mondo che si chiama lingua scritta. Esso è abitato da simboli grafici che servono a rappresentare le parole. In tutte le epoche, in tutti i continenti, scrittori si diventa così: si comincia da A e si arriva alla Z. ABC Cercasi… è un abbecedario e si rivolge a chi frequenta la scuola materna e i primi anni di scuola elementare. L’ABC di Gwenola Carrére unisce più linguaggi: uno è narrativo; l’altro è figurativo. L’idea di partenza, in un libro così, è che accanto alle parole, anche i segni, i colori, le forme, costituiscano una lingua. Il suo alfabeto e la sua grammatica si imparano guardando le figure. Non è un caso se in questo libro Carrére si occupa sia di parole sia di immagini e lavora in contemporanea su tre fronti: il testo, le illustrazioni e il progetto grafico. Nel mondo inventato dall’autrice vivono solo animali, che offrono, cercano, comprano, vendono, come si legge e si vede in copertina.  [...] Un annuncio, o inserzione, di giornale, infatti, ha la caratteristica di trasmettere molte informazioni in poco spazio. Non se ne legge mai uno soltanto, piuttosto “uno tira l’altro”, come qui. Per esempio: «Operaia della cartiera, sogna di diventare ballerina classica. Cerca scopritore di talenti. No perditempo. […] Mago delle due ruote cerca compagni di viaggio per realizzare il sogno della sua vita: attraversare l’America in moto […], eccetera. [...] ABC Cercasi… apre continue finestre sul mondo contemporaneo: è affollato di creature vive e indaffarate. Ciascuna doppia pagina è il ritratto di una persona, dei suoi piaceri, dei suoi fastidi, delle sue attitudini, dei suoi sogni. Fanny è un’operaia, Gaia una ballerina, Hassan un pilota, Nikita un rigattiere… Ciascuno, nella propria diversità, ha una storia da raccontare, in un girotondo senza fine: perché ognuno è in cerca di qualcosa che gli manca e che possiede qualcun altro che a sua volta sta cercando un’altra cosa ancora. Una perfetta metafora dell’alfabeto: perché ogni lettera per diventare parola ha bisogno di tutte le altre.

Da Da Alice a Zorro, di Giulia Mirandola, Catalogone, 2008.

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Il regalo

di Daniel Nesquens e Valerio Vidali, 2009
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Si guarda il cielo come si guarda un film: al buio, seduti, con gli occhi puntati verso l’alto di uno schermo che finisce non si sa dove. Il cinema è a pagamento, il cielo, invece, è gratis. Il regalo è un libro che avrebbe trovato in Galileo Galilei e Neil Alden Armstrong bambini, dei fedeli estimatori. [...] In primo piano ci sono un adulto e un bambino a testa in su, che guardano in cielo. [...] C’è un regalo, al centro delle intenzioni narrative dei due autori, e il titolo non potrebbe essere più esplicito di così. Esso consiste in un oggetto (un telescopio), la cui identità viene svelata lentamente. In senso metaforico, però, fin dalla copertina è presente un “regalo” intangibile, più grande di quello che il protagonista ha deciso per il compleanno di suo padre. A questo dono possiamo aspirare tutti, non solo nel giorno della nostra nascita, indipendentemente dallo stato delle nostre finanze. Perché è gratuito, eterno ed è lì. È il cielo stellato. [...] Chiedete ai bambini se a volte, anche loro, lo pensano: chi ha inventato un simile spettacolo ha donato all’umanità qualcosa di immenso. Fino a che punto ne siamo coscienti? Ottenendo in cambio “che cosa?”, è un’altra bella domanda. Più di quattromila stelle visibili a occhio nudo tutte le notti, se lo desideriamo. Centomiliardi di galassie, senza contare il numero di quelle non osservabili, ma che pure secondo gli scienziati esistono. Tredicimiliardi di anni a fare luce sulle nostre teste. Centocinquantamilioni di chilometri da qui, se volessimo raggiungere la stella più vicina al nostro pianeta, cioè il Sole. [...] James Hillman, in un passo di uno dei suoi famosi saggi, Il codice dell’anima, osserva che «il verbo desueto to environ, da cui il sostantivo environment (“ambiente”), significa “circondare, includere, avviluppare”; letteralmente: “formare un cerchio attorno”». Quanto afferma lo studioso, può essere applicato per analogia alla dimensione avvolgente, “tonda”, del libro scritto da Daniel Nesquens e illustrato da Valerio Vidali. Le figure e il tono del testo, sembrano muoversi in direzione di un abbraccio caldo, protettivo, rassicurante, che potrebbe provenire sia dalla notte, sia dagli adulti, richiamati nel loro ruolo di accompagnatori, all’ora della nanna.

Da Cinema Cielo, di Giulia Mirandola, in Catalogone 2010.

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Non si incontravano mai

di Mauro Mongarli e Claudia Carieri, 2009
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Il libro scritto da Mauro Mongarli e illustrato da Claudia Carieri è una storia di storie. Storie vere di bambini e genitori che provano a incontrarsi. Ci sono un papà e una figlia molto piccola. “Una volta”, “una mattina”, “un giorno”, “una sera”, si ritrovano punto e a capo: vicini e lontani, qui e altrove, grandi e piccoli. Non si incontravano mai è suddiviso in dodici episodi indipendenti. Ed è un progetto sperimentale. A brevi racconti scritti espressamente per i papà, associa, infatti, immagini per piccolissimi, da 0 a 6 anni: grandi, nitide, colorate, legate ai testi da nessi sottili e giocosi. Sono questi nessi che tengono insieme la lettura, facendo del libro un tempo da trascorrere insieme, grandi e bambini, ognuno curioso delle differenze dell’altro. Se i grandi conoscono l’alfabeto precluso ai bambini, i piccoli delle immagini conoscono e amano ogni centimetro di cui sono attenti lettori. Così ognuno potrà aiutare l’altro ad accedere alla propria storia: verbale o visiva dipende dall’età. In questo modo, grandi e piccoli vengono a trovarsi nella medesima condizione dei protagonisti di questi racconti, un papà e una bambina che, come vedremo poi, “non si incontravano mai”… affermazione contraddetta dai molteplici incontri che in effetti avvengono continuamente, dentro e fuori lo spazio narrativo: poiché quel che questo libro-esperimento vuol fare è invitare a quell’appagante, ma difficile gioco che consiste dall’entrare e uscire dalla realtà, dall’immaginazione e dai ruoli, per ritrovarsi in modo autentico. Gioco in cui i bambini sono espertissimi e di cui grandi hanno bisogno di rispolverare spirito e sostanza… Per questo Non si incontravano mai è un libro che può essere letto e usato in tutti i modi possibili: tanti quanti sono i suoi lettori.

Da Una storia bambina, di Giulia Mirandola, in Catalogone 2009.

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Piccolo grande Uruguay

di Alicia Baladan, 2011
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Dopo la splendida fiaba latinoamericana Una storia Guaraní, sua opera di esordio nella narrativa per l’infanzia, l’italo-uruguayana Alicia Baladan torna a sorprenderci e ad incantarci con un piccolo libro autobiografico, prezioso e assai curato, in cui l’autrice racconta, con intensità e leggerezza, gli anni difficili ma anche spensierati della propria infanzia in Uruguay, durante la spietata dittatura dei militari. Sono gli anni che precedono la “fuga” della sua famiglia dal Paese sudamericano, e che costringeranno la giovanissima Alicia a riparare all’estero, dapprima in Brasile e, dopo aver concluso la scuola dell’obbligo, in Italia, all’età di undici anni (nel 1980). [...] Il libro ci racconta l’Uruguay degli anni ’70: sono gli anni della conquista dello spazio, ma anche della junta militar, delle contestazioni, dei dissidenti e dei desaparecidos. Un Paese sconvolto da un regime che semina il terrore con abusi e violenze di ogni tipo, porta l’economia, la società e la vita civile sull’orlo della catastrofe. Gli oppositori del regime sono in carcere e stessa sorte è toccata al padre di Alicia, accusato di sovversione e di atti contro il regime. [...] Alicia vive in prima persona la drammaticità di quegli anni plumbei, ma l’autrice-illustratrice ce lo racconta con una scrittura fresca, con la prosa leggera di una bambina che dopo l’arresto del padre va a vivere in una casa enorme. Alicia, nonostante tutto, è una bambina curiosa e vivace e sogna di diventare astronauta. [...] Nel romanzo colpisce soprattutto la presenza di frequenti rimandi e collegamenti in chiave psicologica tra le drammatiche e difficili vicende e le situazioni vissute in prima persona e i sogni e le fantasticherie di una giovanissima Alicia, il tutto filtrato dal ricordo, a volte deformante, ma anche capace di imprimersi con una forza straordinaria, delle storie ascoltate durante l’età dell’infanzia. Penso alle pagine, dotate di straordinaria forza narrativa, in cui si raccontano le vicende della bambola “Susanita” e dei “gatti caduti dal cielo”, del compagno di scuola “Aramiz”, costretto dalla dura vita a crescere più in fretta degli altri ragazzi, dell’astronauta Caruso Trusky, già citato, e ad altre ancora. Altrettanto piacevoli e intense, le pagine, colme di ricordi e particolari, che hanno per protagonisti i nonni materni e paterni, gli zii e gli amici di famiglia. È un sapiente affresco familiare quello ricostruito da Baladan, brulicante di persone e storie, capace di coinvolgere il lettore dalla prima all’ultima pagina, in una narrazione che è, al contempo, serrata e pacata, intima e collettiva.

Da Piccolo grande Uruguay, recensione di Lorenzo Luatti, per il sito El Ghibli.

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