Cielo bambino

di Alessandro Riccioni e Alicia Baladan, 2011
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«Alba bell'alba che sali piano, il mare e il cielo si danno la mano». Cielo bambino comincia con questi versi ed elegge il sorgere del sole a momento creativo per eccellenza anche per il sorgere delle parole e delle figure. A quell'ora, il mondo inizia il viaggio di luce e tempo che accompagna l'umanità da mane a sera. È così da quando la storia dell'uomo era una bambina appena nata e adesso, che l'universo ha dietro di sé milioni di anni, nulla è cambiato. Di fronte a tanto splendore solitamente la parola viene meno, se invece ti chiami Alessandro Riccioni e Alicia Baladan, può accadere di mettersi a scrivere oppure a disegnare, può accadere di concepire un libro.  Spetterebbe a oggetti come Cielo bambino tenere a battesimo i lettori nel loro primo incontro con la parola scritta e la parola dipinta. [...] Il linguaggio che Riccioni e Baladan praticano, cioè la poesia, è lo spauracchio di molti adulti che  considerano un libro di poesie l'esperienza di lettura più elitaria e difficile. Nel libro di cui stiamo parlando l'infanzia è nelle condizioni di scoprire cos'è la poesia al riparo da pregiudizi e strutture logiche e grammaticali farraginose e oscure, queste ultime sì ideali per nascondere e confondere il volto della poesia. Il lessico di Riccioni è ripulito da trucchi, ambivalenze, ermetismo. Su queste pagine il nero è nero, il fumo è fumo, il gessetto è gessetto, lo sporco è sporco, i buchi sono buchi, la paura è paura, la banana è banana, il sopra è sopra, il sotto è sotto, e via dicendo. «Nero di fumo | senza l'arrosto | nero di seppia | senza aragosta | nero lavagna | senza gessetto | nero di sporco | dentro il cassetto | nero di oggi | senza domani | nero di pianto | senza allegria | nero di tutto | vattene via!»
[...] Alicia Baladan crea mondi paralleli, forte di un passato di scenografa e regista di film di animazione, discipline in cui costruire scene dal nulla e dare il senso di movimento è fondamentale.
La percezione, insieme all'ascolto, si confà alla lettura di questo libro. «Ciò che percepisco», ha scritto Fabio Pusterla «mi conduce in nuove zone sconosciute, come se l'effetto della percezione non fosse il riconoscimento, ma lo smarrimento: senza smarrimento, del resto, come sperare di trovare qualcosa?» Le illustrazioni di Alicia Baladan sorvolano precisamente queste zone interiori,  le stesse che hanno suscitato l'avvento di paesaggi sempre al limite tra realismo e surrealismo. [...]
Il cielo, da qualunque prospettiva lo guardiamo, è immenso e immensa è la sproporzione tra i suoi misteri e le nostre verità. Riccioni e Baladan puntano non si lasciano scivolare sotto i piedi l'occasione di colloquiare a tu per tu con l'universo, anche se esso, logicamente, risponde con voce propria, non con corde umane. Con le costellazioni, il vento, le nuvole, la notte, il buio, la luna, il sole, le comete, dialogano professionisti nel campo delle scienze e persone qualunque, fare un elenco di chi si occupa di cieli rende l'idea dell'ampiezza di interessi e competenze che scaturiscono dal cosmo. Pensiamo ai marinai, ai pastori, ai filosofi, agli astronomi, ai metereologi, ai teologi, ai fisici, ai mistici, ai poeti, ai cineasti, agli astrologi, ai compositori, ai pittori, ai pianisti, ai produttori di biscotti, chiunque di loro, a suo modo, impressionato e sedotto dal disordine armonico della volta celeste e dagli abiti che indossa. Scoperto questo, viene terribilmente a noia interpellare il cielo solo per conoscere l'oroscopo o informarsi sulle previsioni. I bambini hanno curiosità profonde che la lettura del cielo alimenta e che Cielo bambino incoraggia a venire in superficie.


Da All'alba bell'alba, di Giulia Mirandola, Catalogone, 2011.

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La bambina di neve

di Nathaniel Hawthorne e Kiyoko Sakata, 2007
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La bambina di neve. Un miracolo infantile fa parte della collana “Fiabe quasi classiche”[...]. Si tratta, infatti, di un racconto scritto nella prima metà dell’Ottocento, da un autore considerato, con Edgar Allan Poe, Herman Melville e Mark Twain, il fondatore della letteratura americana: Nathaniel Hawthorne (1804-1864). Kiyoko Sakata è un’illustratrice giapponese, nata nel 1974; La bambina di neve. Un miracolo infantile è la sua opera prima.
Una breve nota, alla fine del libro, è utile sia a chi legge Hawthorne per la prima volta, sia a chi, pur conoscendolo, poco sapeva o ricordava di questo racconto e del contesto in cui fu scritto: «quando leggiamo La bambina di neve, i due protagonisti, Violetta e Papavero ci ricordano i figli di Hawthorne come nei suoi diari li troviamo descritti, per carattere e aspetto fisico. Sono loro, vivaci e intelligenti, che vediamo giocare; loro, pieni di fantasia, capaci di dare vita all’impossibile.» È una precisazione interessante, rivolta all’attenzione dei genitori e, in generale, degli adulti. Professione e paternità, maturità e infanzia, nella figura di Hawthorne si sommano in modo virtuoso, lanciando sia ai bambini che agli adulti – in modalità assai diverse – un messaggio di speranza. «Hawthorne era padre di una bambina, Una, e di un bambino, Julian. Amava molto osservarli. Lo sappiamo perché nei taccuini dello scrittore – pagine e pagine in cui annotava pensieri, stati d’animo, descrizioni di paesaggi, storie – molto spazio è dedicato proprio a loro. Hawthorne riportava i loro dialoghi, le loro riflessioni, le loro scoperte, le loro domande.».
Leggendo La bambina di neve. Un miracolo infantile, il lettore bambino veste i panni di chi, bambino nella finzione narrativa, ha voglia di uscire di casa per andare a giocare in giardino, nella neve fresca, e dare vita a un’esperienza miracolosa, magica, da cui gli adulti sono esclusi. L’ardore che accompagna la richiesta di uscire all’aria aperta e di giocare, si fissa, visivamente, nell’espressione radiosa di Papavero e Violetta e nel gesto implorante delle loro mani. [...] L’uso di immagini in bianco e nero, entro sottili margini bianchi, intervalla lunghe parti di testo ed è un richiamo alle fotografie d’epoca che Kiyoko Sakata non fa mistero di avere studiato attentamente, prima di mettere mano al racconto. Su queste tavole, interni e abbigliamento, citano il periodo storico in cui fu scritto il racconto (prima metà dell’Ottocento) e l’atmosfera intima, domestica, che lo produsse. Tra nero e bianco, la gamma delle sfumature di grigio esalta la luminosità del paesaggio invernale e descrive passaggi continui fra luce e tenebra. [...] Madri e padri che leggano ai propri figli La bambina di neve. Un miracolo infantile, si rispecchieranno nell’impossibilità dei signori Lindsey di capire fino i fondo i giochi dei loro bambini. [...] Nel giardino di casa i due bambini daranno vita a una sorella immaginaria, fatta di luce e neve. Loro la creano, i genitori la disfano. Una storia senza lieto fine, sulla potenza visionaria dell’infanzia e i limiti esistenti nella comunicazione tra bambini e adulti.

Da Un fatto di ordinaria distanza, di Giulia Mirandola, Catalogone, 2007.

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