Casa di fiaba

di Giovanna Zoboli e Anna Emilia Laitinen, 2013
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Casa di fiaba è poesia. Pensiero e occhi vagabondano per trentadue pagine, tra il corpo di case visibili e quello di una casa ulteriore, invisibile, la cui identità è segreta fino al verso finale, dove viene chiamata ”me”. Perché i modi di abitare sono innumerevoli, ma potenzialmente infiniti i modi di essere abitati ed essere sé. Le case sono luoghi fisici e simbolici. Tanto anonimi quanto particolari. Vi abitano persone, idee, immagini, parole, spiriti, con i quali ciascuna persona, fin dalla culla, elabora discorsi, costruisce storie necessariamente personali. Casa di fiaba, scritto da Giovanna Zoboli e illustrato da Anna Emilia Laitinen per la collana Parola magica, nomina e mostra null'altro che case, a cominciare da quella più frequentata della letteratura per l’infanzia: la casa di fiaba.
I primi sei versi rendono omaggio a questa tipologia: «Casa di fiaba, | casa stregata. | Casa di foglie | e di rami, di nebbia. Casa che brucia, | casa incantata». Quante volte le case di fiaba ci hanno avvinti al loro mistero? Costruite nel bosco, riconoscibili a distanza, ravvivate dal fumo di un camino inesorabilmente acceso, abitate da presenze magiche. Sono case di fiaba la casina dei biscotti, in Hansel e Gretel; una casa poverissima da abbandonare presto, in Pollicino; la casa accogliente e fuori scala dei Sette Nani e quella della strega in Biancaneve; la casa della nonna, casa trappola, nella fiaba di Cappuccetto Rosso. Via di questo passo, il catalogo delle case di fiaba potrebbe assumere proporzioni maggiori e imporsi all'attenzione dei lettori più giovani in concomitanza con la scoperta del piacere di leggere poesia. È in una parola, una soltanto, che il libro si dà per intero. La parola “casa”, una parola-luogo, letteralmente. Un continente, un nuovo mondo, per chi scopre qui che cos'è la poesia. [...] L'autrice sposa e trasmette un'idea elementare, da condividere: la poesia è una casa di parole. Casa di fiaba è una poesia da leggere, ma anche da inventare e scrivere da capo. Zoboli spalanca senza indugi la porta del suo studio di scrittura e offre, a chi volesse sperimentare, il metodo per comporre un testo a partire da una cellula verbale.
Anna Emilia Laitinen suggerisce di praticare la variazione sul tema come ginnastica di stile e gioco di forme, anch’essi implicati con la padronanza e la ricchezza lessicale.[...] Non c'è traccia di figura umana in queste immagini. Dove sono tutti? Per quale motivo non si manifestano? Chi potrebbe abitare nella «casa di fuoco», chi nella «casa di vetro», chi nella «casa che corre», chi nella «casa scoppiata», chi nella «casa futura», chi nella «casa vestito», chi nella «casa di dentro»? È lasciato ai lettori formulare ipotesi sul conto degli abitanti di Casa di fiaba. Salutare il lettore con una serie di enigmi è un dono che onora l'intelligenza dell'infanzia e incorona chi esercita senza reticenza la facoltà di interpretare

Da Sono casa, sono me, di Giulia Mirandola, Catalogone, 2013.

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Ti faccio a pezzetti

di Chiara Armellini, 2012
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Ti faccio a pezzetti è un libro basato sull'esperienza dello smontaggio e del montaggio. Chiara Armellini, durante i suoi laboratori con i bambini nelle scuole dell'infanzia e primaria, fa questo: chiede a ciascuno di scegliere una figura, di disegnarla, di scomporla in forme geometriche elementari, di ritagliare i pezzi ricavati e di ricomporre da lì la figura intera. Sembra un puzzle, ma non lo è. Ti faccio a pezzetti, è un gioco di incastri. Tuttavia, rimane aperto un numero incalcolabile di possibilità di combinazioni. Provare ad applicare quello che stiamo dicendo dimostra che nessuna figura è fissa una volta per tutte. I pezzi che formano la giraffa, potrebbero funzionare per fare un pappagallo. Tenuto fermo lo stesso principio compositivo, quelli che formano l'armadillo, potrebbero trasformare completamente lo scenario e diventare una spiaggia di sassi; quelli che formano il leone, essere adatti per figure floreali, ad esempio gigli, girasoli. Sarebbe interessante per bambini e adulti, soffermarsi su un unico soggetto e trarre da esso quante più variazioni possibili.
Secondo J. Huizinga, autore di un classico dell'antropologia intitolato Homo ludens (Einaudi, 1973), «al gioco partecipa qualcosa che oltrepassa l'immediato istinto a mantenere la vita, e che mette un senso nell'azione del giocare. Ogni gioco significa qualche cosa.» Qualche decennio più tardi, Enzo Mari scriverà che «tutto ciò che viene realizzato per il gioco dei bambini deve essere progettato tenendo presente che scoprire il mondo e ricavarne il proprio comportamento è lo stato dell'infanzia. […] Oggi, per il progettista, questo tipo di intervento resta una delle poche possibilità di contribuire realmente al rinnovamento della società.» (E. Battisti, G. Dorfles, M. Loriga, I giochi per bambini di Enzo Mari, All'insegna del pesce d'oro, 1969). Ti faccio a pezzetti si riallaccia a questi discorsi e si propone d'essere, come è scritto in quarta di copertina, «libro per giocare e per inventare nuovi giochi».
Ogni aspetto della progettazione e della realizzazione, per giungere a compimento, ha attraversato l'esperienza ludica. Il gioco di Ti faccio a pezzetti interessa le forme, i colori, i caratteri tipografici, la grafica, gli stampi, le parole, i suoni, i soggetti iconografici. Con questi elementi hanno giocato Chiara Armellini (autrice di testo e illustrazioni) e Marina Del Cinque (grafica). Insieme hanno ottenuto un albo illustrato che saprà fungere anche da laboratorio: di pittura, stampa, costruzione, musica, movimento. Per questo Ti faccio a pezzetti è un libro indicato per chi opera nel mondo della scuola, delle ludoteche, delle sezioni didattiche dei musei, delle scuole di circo.

Da Leggere e giocare, di Giulia Mirandola, Catalogone, 2012.

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Senza TV

di Guillaume Guéraud, 2011
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Ogni tanto c' è qualcuno che dà il cinema per morto, naturalmente a favore della tv. [...] Per questo chi ama il cinema dovrebbe tenersi stretto un «piccolo» libro pubblicato da una «piccola» casa editrice per bambini, Topipittori: si intitola Senza Tv (pp. 98, 10, traduzione Massimo Scotti) e racconta l' infanzia autobiografica di Guillaume Guéraud, autore di romanzi noir e polizieschi per adolescenti (in Francia è una vera celebrità). È un libro da leggere non solo perché è divertente, ha un ritmo prodigioso, è intelligente, ma perché è una delle più belle dichiarazioni d' amore per il cinema (e per la vita) che ho letto. Il piccolo Guillaume vive solo con la madre (del padre non sa niente, tanto che per un po' crede di essere figlio di Montgomery Clift, perché c' è una sua fotografia sulla libreria) e con uno zio sindacalista e comunista. Siamo a Bordeaux, in un quartiere multietnico negli anni Settanta, e tutti gli amici di Guillaume hanno la televisione. Lui no: la mamma la detesta e lo zio dice che a guardarla «si diventa un coglione». Per questo, per tacitare le lamentale del figlio, comincia a portarselo al cinema. Non sono film per bambini: «Non capisco neanche un terzo delle cose che mi passano davanti agli occhi - scrive Guéraud - però mi piace». E continua: «Non è una noia così insopportabile che proprio non riesco a star fermo come quella volta a teatro, no. È una noia piena di soprassalti, spezzata da fulmini, tutta fatta di ami incandescenti a cui mi aggrappo senza mollare mai». Agli amici racconta riassunti inverosimili (quello di Mon oncle d' Amerique di Resnais è un capolavoro surreale) ma pian piano impara che quegli «ami incandescenti» lo aiutano a crescere, a conoscere il mondo che lo circonda, a esercitare la fantasia, a capire la storia e la politica. E si accorge che il cinema, oltre che divertirlo, lo aiuta a vivere. È quello che, in maniere più scanzonata, ci ricordano anche Emanuela Martini e gli amici con cui ha scritto Che cosa guardo stasera? (Il castoro, pp. 194, 15). Non è solo un divertente manuale di «cineterapia» per usare i film come consolazione serale in ogni tipo di occasione: è anche, a leggere le belle schede di accompagnamento, un modo per riannodare i legami tra cinema e realtà e scoprire dentro a film «ingessati» dall' accademia o dalla cinefilia quegli «ami incandescenti» di cui parla Guéraud. 

Da La vita è bella anche se non hai la tv. Basta il cinema di Paolo Mereghetti, Corriere della Sera, 2011.

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C'era una volta una storia

di Giovanna Zoboli e Camilla Engman, 2011
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C'era una volta una storia è una storia di storie. [...]. L'atto di leggere un libro a qualcuno, di raccontare una storia ad altri, sono eventi che portano C'era una volta una storia a contatto con la dimensione dell'infinito narrare.  [...] Siamo nel cuore della letteratura, dei suoi meccanismi sottili e delle sue regole d'oro, quando siamo tra le pagine di C'era una volta una storia. Ciò tocca in pari misura il linguaggio verbale e quello visuale: «C'era una volta una storia. La storia abitava in un libro. Il libro era di un bambino. Ma il bambino non sapeva leggere. Però, guardava le figure». [...]
Al principio sono di scena tre soggetti: una storia, un libro e un bambino. In breve tempo, si affianca loro una famiglia numerosa di interpreti principali e secondari. Sono una valigia, un cane, una donna con in testa un uccello, un gatto che balla, la mamma di un bambino, delle figure, delle lettere alfabetiche, un pappagallo, un albero giapponese, due calzini di lana, un orso lettore, delle scimmie, il signore del piano di sotto, degli omini neri, un trenino, una casa fantasma, un uccello blu con la coda rossa, un principe con le zampe di velluto, un leone, una papera di gomma, l'uomo nero, un pesce, un vaso, un fiore, delle stelle, la luna, il sole... C'era una volta una storia appartiene alla collana Albi ed è il secondo albo, dopo Troppo tardi (2010), realizzato da Camilla Engman e Giovanna Zoboli. Si tratta, in entrambe le occasioni, di libri della buona notte, ispirati al momento in cui un bimbo, infilato il pigiama, si fa raccontare una storia per addormentarsi oppure la racconta a se stesso.  [...] Il momento della buona notte è un rito da camera dei bambini, cui partecipano dapprima il protagonista e la mamma; in seguito, il protagonista e i suoi giocattoli. Aggettivi e verbi sono al servizio della trasmissione di bellezza. Figure, segni, colori, altrettanto. [...] C'era una volta una storia potrebbe essere la storia con cui un bambino e una mamma praticano per la prima volta la lettura e scoprono insieme il piacere di leggere.

Da Una storia, un libro, un bambino, di Giulia Mirandola, Catalogone, 2013.

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