Una stella nel buio

di Lucia Tumiati, Joanna Concejo, 2012
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Il libro scritto da Lucia Tumiati e illustrato da Joanna Concejo si fa strada nelle infanzie di due bambini. Uno di loro è Gesù. Il terreno dell'infanzia è costitutivamente humus di complessità, ma quello di cui stiamo parlando lo è al quadrato. Fatta eccezione per il momento della sua nascita e per i primi mesi di vita, cristallizzati universalmente nelle icone della Natività e della Madonna con bambino, sulla vita di Gesù da bambino sappiamo poche confuse cose, c'è buio. Se giocasse e con chi, cosa facesse quando era ragazzino, se fosse triste, arrogante, gentile, irascibile, dolce, silenzioso, impaziente, distratto, lento, se avesse amici, se andasse d'accordo con i propri genitori e fratelli, se preferisse le vite degli altri alla propria o viceversa, non sappiamo. Una stella nel buio è quanto dice di essere: una piccola luce dentro la notte nera di molti misteri. [...] Concejo attraversa le biografie d'infanzia, giuntando carte come farebbe un montatore con i fotogrammi di una pellicola cinematografica. Sono fogli quasi sempre di piccolo, piccolissimo e medio formato, pezzi di taccuino strappati, veline lievemente stropicciate, resti di vecchie buste, lucidi con qualche buco, blocchi da disegno arrivati in fondo, pagine di quaderni di altri tempi, sacchetti dove forse hanno prima alloggiato libri, bottoni, matite, carte nocciola, gialline, verdine, azzurrine. [...] Una stella nel buio non è solo letteratura. Tumiati segue il parlato dei due bambini da molto vicino, sembra assistere ai loro dialoghi, trascrivere i loro pensieri come fosse anche lei bambina di Galilea, presente agli eventi narrati e testimone. «Io sto seduto qua da tanto, che le formiche mi sono salite cento volte su per le gambe. Sto seduto e aspetto che il sole giri, che lui passi e si fermi. Oggi ce l'ho fatta. “Che vuoi?” mi dice socchiudendo gli occhi per guardarmi attraverso il sole, che lo abbaglia. Mette il braccio sulla fronte, per farsi ombra. “Volevo parlarti”.». Esposti a silenzi più grandi di loro, che li distanziano, Gesù e l'amico di Gesù usano tra loro le parole, per avvicinarsi e toccarsi. Alle parole Tumiati affida un messaggio che fa breccia nelle esperienze degli adolescenti: con le parole entriamo in contatto, ci conosciamo, diventiamo amici, siamo qualcuno l'uno per l'altro. [...] Il tema maggiore di questo libro nero lo abbiamo appena nominato: è l'essere umano, tutti i suoi limiti, la sua forza interiore, la sua capacità di dubbio e di amore, la sua violenza e bontà, tutti dentro il corpo dell'infanzia che l'amico di Gesù ammette di poter solo abbracciare, «mentre le stelle brillano di luce più intensa, nella notte del mio cuore.»

Da La notte del cuore, di Giulia Mirandola, in Catalogone 2012

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I pani d'oro della vecchina

di Annamaria Gozzi, Violeta Lopiz, 2012
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«In un paese abbracciato al corso del fiume, dentro una casa bislacca, abitava una vecchia. Si dava ogni giorno un gran daffare per cucinare tante golose pietanze, e poi, la sera, sedeva alla finestra e si cullava allo spettacolo della nebbia che, salendo lentamente dal fiume, inghiottiva ogni cosa. I giorni passavano, uno dietro l'altro, senza che la vecchina della casa bislacca se ne preoccupasse. Ormai era talmente vecchia da aver perso il conto dei suoi anni.» Siamo all'inizio della storia. In copertina e sui risguardi, la vecchina è comparsa due volte, mentre è intenta a raccogliere pagnotte rosse. Della stessa scena fa parte una figura scura, senza volto, ha gambe corte, piedi e mani piccole. Pare aiuti la vecchina nella raccolta dei pani. Forse si conoscono, forse stanno per conoscersi. Non pare che l'uno disturbi l'altra, nell'aria c'è concentrazione e
silenzio. [...] Quella della vecchina è una presenza ardente, come dimostrano le pagine successive. La sua casa nel bosco è il cuore della scena, ha in comune con la sua padrona il calore che emanano i corpi vivi. Siamo certi della presenza della vecchina dentro quelle mura, perché da esse procede la stessa energia proveniente dalla figura della donna, quando si mostra esteriormente. Questa corrispondenza tra corpo visibile e corpo invisibile, è particolarmente importante in una storia dove le dimensioni della comparsa e della sparizione sono determinanti. I Pani d'Oro della Vecchina racconta ai bambini la storia di una vita che continua in una morte. Potremmo affermare anche il contrario, cioè che I Pani d'Oro della Vecchina racconta ai bambini la storia di una morte che continua in una vita. [...] Cosa c'entra la bontà di un pane con la bontà d'animo? Scrive Simone Weil, in un breve saggio intitolato La persona e il sacro (Adelphi, 2012), che «Dalla prima infanzia sino alla tomba qualcosa in fondo al cuore di ogni essere umano, nonostante tutta l'esperienza dei crimini compiuti, sofferti e osservati, si aspetta invincibilmente che gli venga fatto del bene e non del male. È questo, anzitutto, che è sacro in ogni essere umano.» È questo che trattiene e sconcerta la morte tutte le volte che le si presenta l'opportunità di rapire la vecchina e poi non lo fa. Per le stesse ragioni, la morte narrata da Gozzi e Lopiz non è temuta, le si può parlare, la si può incontrare, si può con essa cercare il dialogo e ad essa accompagnarsi senza provare paura, pur sapendo che chi è vivo trapasserà. Della morte abbiamo talvolta una percezione parziale, primitiva, intrisa di negatività e di violenza. Escludiamo di poterci avvicinare a lei, comprendendola con dolcezza, come fa la vecchina e dubitiamo che l'infanzia possa entrare in questi discorsi senza subire traumi. I Pani d'Oro della Vecchina disarma l'esercito di tabù che cinge l'argomento “morte” nella società contemporanea e mette in moto modi di pensare e di guardare alla morte e alla vita che non credevamo possibili, prima di avere letto il libro. Tra arte di impastare e filosofia scopriamo esserci punti di contatto. «Il sapore dolce e speziato scompigliò la Morte, il pane sapeva tanto di Vita. […] “Squisita,” disse la Morte masticando. “Ma non mi farò incantare un'altra volta, ormai il tuo Pane l'ho mangiato. Non perderò altro tempo. Vieni con me. Adesso.” “Ma signora Morte, non è certo per il Pane Dolce che ho abbrustolito tutte queste mandorle. I bambini aspettano ogni anno che io le impasti in una dolce spuma bianca e le trasformi in tanti torroni. L'impasto morbido deve raffreddare e solo il giorno dopo diventa croccante. Il segreto è solo aspettare.” Non siamo tra le pagine di un ricettario, ma vorremmo vederli e assaggiarli per
davvero, una notte di Natale, i dolci di questa vecchina.

Da La storia dei cambiamenti, di Giulia Mirandola, in Catalogone 2013.

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